lunedì 20 aprile 2015

Monte Sole, la storia fatta esperienza

Si parte, zaini in spalla, cartoline della zona grigia ... e via, alla conquista di Monte Sole!
"Che traguardo il nostro ultimo, l'arrivo in vetta al Monte Sole! Una impresa memorabile avvenuta in una giornata neanche a dirlo di sole e di vento che sferzava visi e tutte le speranze di arrivare vivi alla meta! Infine vi giungemmo grazie al comandante in carica, il nostro  collaudato Achille Papa( Simone Squarzanti), che pure si narra abbia sorretto per buona parte del tragitto l'alunno con vertigini e che approfitto ora per ringraziare di aver preparato magistralmente un'uscita che a tutti gli effetti è valsa come il regalo di una lezione di storia sul campo!
Non so se lei preside ha trovato una guida nei suoi giorni di studio ma Achille Papa domani sarà certo al suo fianco in questo impegno e noi con lui!
Susanna"

Dalle memorabili parole della prof Pecchioli si intuisce il valore dell'impresa, si capisce la motivazione degli alunni a percorrere non solo un tragitto irto e sconnesso ma ad arrampicarsi con maggiore agilità negli incerti passi della storia là dove l'eroismo di non molti sconfisse il protagonismo prepotente di chi si riteneva potente. 
La storia siamo noi, la storia siete voi, la storia narra di chi siamo stati. 
Far ripercorrere agli alunni sentieri muniti di mappe e carte storiche di documenti originali da leggere per scandire i passi e sottolineare momenti drammatici del duro tragitto, questo suscitare emozioni ad ogni passo non può essere sostituito da letture e studio dal manuale ma può essere solamente accompagnato e/o rinforzato dal lavoro in aula.


un omaggio alla Brigata


Una strage efferata quella di Marzabotto, compiuta dalle SS naziste  nel 1944, consumata appunto nei territori di Marzabotto, Grizzana, Morandi, Monzuno, attorno a Monte Sole
I partigiani della Brigata Stella Rossa  Lupo si erano dati come obiettivo quello di colpire aree strategiche come strade e ferrovie che collegano Bologna alla Toscana per impedire il rientro delle truppe naziste.  Ripulire la zona era quindi per il comando tedesco un compito urgente per favorire il ripiegamento verso nord delle armate occupanti sotto la spinta degli alleati anglo americani che stavano risalendo la nostra penisola
Nel maggio del 1944 il primo assalto seguito da altri non di successo, fu affidato allora il compito di far pulito nella zona al feroce maggiore Walther Reder, comandante del 16° battaglione  Panzer Aufklarung Abteilung della 16° Divisione SS.
Una azione che partì il 29 settembre 1944, di una violenza inaudita, di estrema ferocia rivolta verso donne e bambini, anziani inermi, villaggi distrutti, azioni cruente che proseguirono per giorni e giorni fino a novembre. 
Centinaia e centinaia di uccisioni e solo distruzione.

Reder fu catturato dagli inglesi il 5 maggio del 1945 e consegnato
 all'Italia, fu processato dal tribunale militare di Bologna, 
condannato all'ergastolo colpevole tra le tante stragi della morte a 
Monte Sole di 262 persone, condannati anche i fascisti che 
guidarono le SS durante l'eccidio 
Nel 1967 Reder inviò una lettera che sembra solo il  frutto della 
difesa da parte del  suo avvocato,  per chiedere perdono alla 
comunità di Marzabotto, il perdono non fu concesso, scarcerato nel 
1985 morì poi nel 1991 senza mai aver sostanzialmente chiesto 
perdono.
Una delle tante storie drammatiche fatta rivivere con passo pesante ed incerto con  voci acerbe, tremule e commosse dai nostri increduli ragazzi.
Grazie all'A.N.P.I di Borgo San Lorenzo, alla sua Presidente Paola Poggini, ai docenti ed al Comandante in carica infaticabile e sempre  sorprendente Simone Squarzanti.


mercoledì 8 aprile 2015

La buona scuola che già esiste e quella che non verrà

http://www.internazionale.it/weekend/2015/03/28/franco-lorenzoni-maestro-scuola
Da consultare e leggere con molta attenzione, esistono persone che hanno reso possibile ciò che appare impossibile solo perché con grande semplicità ci hanno creduto.
Le parole di Giuseppe Bagni ci convincono molto, proviamo a leggerle insieme annotando i punti salienti, l'idea centrale delle sequenze diremmo ai ragazzi, sfido ad indicarle in rosso, ci proviamo? Parto io, consapevole che qualcuno mi segua, anche solo nella lettura

Sul disegno di scuola e chi la abita, di Giuseppe Bagni


C'è una strada facile per scrivere un pezzo ben argomentato sul Disegno di Legge del governo Renzi. Si enumerano le cose che vanno bene e quelle che vanno male. Chi è favorevole, parte da quelle negative e finisce amplificando le positive; chi è contrario, fa il percorso opposto per liberarsi rapidamente del positivo e concentrarsi sul negativo.
È uno schema troppo semplice che oltretutto favorisce la polarizzazione del dibattito su posizioni senza sfumature e zone di sovrapposizione, quando già la partecipazione alla politica si sta riducendo all'opzione del "mi piace", che si clicca prima e a prescindere dal commento (i "perché" dei mi piace interessano meno).
Sarebbe un approccio che rischia paradossalmente di lasciare sullo sfondo la scuola e i suoi reali bisogni: un lusso che non dobbiamo permetterci.
Che cosa sappiamo
Conosciamo i problemi della scuola? Sì: dagli anni Settanta abbiamo rilevazioni internazionali che ci danno certezza del fatto che il rendimento scolastico degli studenti è legato al contesto territoriale. Che il destino nella scuola "superiore" è legato non solo al  merito dei singoli ma anche all'indirizzo scelto, e che questa scelta è ancora fortemente connotata socialmente.
Sappiamo che le differenze di "bravura" tra gli studenti sono basse all'interno della stessa scuola e molto alte fra le varie scuole, come dire che il "merito" nella scuola italiana non dipende dal singolo ma dalla sede scolastica dove lui finisce, il cui livello socio-economico (il suo habitat) ha più peso sugli esiti che non quello della famiglia.

Ogni singola scuola condiziona gli studi ed il cammino, dimmi dove vai, ti dirò chi sei
Scelte che aggravano i problemi
Da qui, da questa realtà si doveva partire: è stato fatto? Purtroppo no. Ci sono anzi scelte che peggioreranno la situazione. Il 5 per mille che verrà destinato alle scuole sarà molto diverso in valore assoluto in Lombardia, per esempio, rispetto a quello della Calabria o della Sicilia, e visto che andrà a singole scuole, aumenterà le differenze anche tra le scuole della stessa regione. Lo stesso effetto sulle diseguaglianze sarà prodotto dallo school bonus.
Anche se il governo interverrà in senso perequativo resterà il messaggio per l'opinione pubblica di scuole-zavorra, che sono un costo per lo Stato, accanto ad altre di qualità, che si autofinanziano, senza spazio per una minima riflessione sui diversi contesti in cui agiscono e sulle funzioni che svolgono.
Se si vuole intervenire sulla dispersione in maniera efficace bisogna destinare i docenti e i dirigenti migliori nelle scuole più difficili, ma l'albo regionale con chiamata diretta del preside va in direzione diversa: perché un docente richiesto da scuole comode, frequentate da ragazze e ragazzi ben educati dovrebbe scegliere quelle difficili e disagiate, dove ci si misura tutti i giorni con la fatica dell'insegnare a ragazze e ragazzi che non vogliono imparare in quella scuola che invece per noi ha funzionato?
In chimica si insegna che "il simile scioglie il simile".
La qualità della scuola dipende soprattutto dalla qualità degli insegnanti "normali", con un curricolo normale e nessun segno particolare per essere scelti. Quello che invece è straordinario è il compito a cui sono chiamati, e allora, dall'enfasi sui "migliori" dovremmo passare a quella sul "miglioramento" che coinvolge tutta la scuola come comunità professionale.
Parole sante, non servono migliori nelle scuole elitarie, servono bravi docenti impegnati là dove ci sono emergenze, e la dispersione è un'emergenza grave
Metafore di senso comune
Si è preferito proporre un'idea di scuola che fosse comprensibile per tutti, operazione tutto sommato  facile perché la nostra scuola si trova nella condizione paradossale di avere contorni incerti, che la espongono a regolari invasioni di slogan e metafore provenienti dall'esterno, e allo stesso tempo non permeabili: tutto ciò che fa la scuola è estremamente "scolastico". Il contrario di ciò che servirebbe, cioè confini più precisi ma molto permeabili con l’esterno, per farsi conoscere a partire dalla sua complessità.
Il Disegno di Legge propone invece una nuova ampia gamma di metafore che hanno il senso di semplificare quella complessità ad uso e consumo del senso comune. Operazione che può essere vincente nella comunicazione diretta con l'opinione pubblica ma che si paga in termini di credibilità all'interno del mondo della scuola.
Ecco allora che al preside manager segue il preside sindaco e poi il preside allenatore che sceglie la "squadra" da mettere in campo. Ma contro chi gioca la sua partita? Chi è che perde? Forse le altre scuole che non hanno "campioni" di pari livello? Passeremo l’estate a proporre ingaggi agli insegnanti migliori?

 Questa nuova trovata del preside manager rattrista molto, cercasi presidi di livello preparati per fare squadra
Il vero avversario 
Il problema è che non è l'altra scuola l'avversario. L’avversario è, o dovrebbe essere, principalmente l'abbandono scolastico, che se fa squadra non lo fa certo scendendo in campo aperto, sotto i riflettori, facendo indossare a tutti la stessa maglietta. Anzi, cerca l'invisibilità degli ultimi banchi, delle assenze prolungate, dei silenzi ostinati.
Contro questo avversario non servono "campioni", ma un corpo docente che sappia dare di sé un'immagine coerente e positiva. Insegnanti disposti a mescolare la propria biografia (ben più del curricolo) con quella dei loro alunni per coinvolgerli e spesso trascinarli contro la loro stessa volontà. 
Manca un progetto di scuola
Ma ci vuole un progetto di scuola, non la scuola dei mille progetti; ci vogliono curricoli che sappiano misurarsi con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani. Ci vogliono sperimentazione e ricerca che sorreggano e diano senso all'autovalutazione; ci vuole una scuola che sappia prendere il massimo dagli insegnanti migliori e nello stesso tempo far crescere tutti ponendosi al centro di un sistema nazionale di formazione degli insegnanti. Una formazione  che, quando si entra a scuola, non scompaia,  ma cambi aspetto per divenire una parte costitutiva della nostra professione, al pari del progettare gli interventi educativi, del fare lezione, valutare gli esiti, confrontarsi collettivamente.
Nel Disegno di Legge, di un tale progetto si perdono le tracce. Nonostante vi sia una significativa inversione di tendenza con l'investimento di risorse importanti nella scuola, l'assunzione di una fetta consistente del precariato e dichiarazioni d'intenti condivisibili sul ruolo dell'autonomia, il quadro complessivo sta dentro un paradigma diverso, in cui domina la dimensione individuale. Questo aspetto viene messo in mostra con prepotenza nella figura plenipotenziaria del nuovo dirigente, ma anche più sottilmente nell'idea del premio individuale al "buon docente"  e in quella del voucher di 500€ per l'aggiornamento personale, che ciascun insegnante potrà spendere come vuole nel libero mercato della cultura e dell'aggiornamento.
La cultura della scelta individuale
Insegnare è sicuramente una professione di cultura ma non basta la cultura per insegnare, ci vogliono soprattutto il desiderio e la capacità di renderla contagiosa. Il sapere di un maestro serve solo per darlo, diceva un alunno di don Milani (citato quanto mai a sproposito di questi tempi). Se si avesse il coraggio di sfidare l'impopolarità destinando quelle risorse alle singole scuole per finanziarne ricerca, sperimentazione e valutazione degli esiti, cambieremmo la scuola, e ogni singolo insegnante, assai più radicalmente che non pagandogli il biglietto del cinema.
Purtroppo in un tale paradigma anche gli aspetti positivi presenti nel disegno rischiano di restare lettera morta perché soltanto una scuola buona potrebbe farli diventare realtà, ma quella che c'è già avrà vita assai dura.
Essa ha uno dei punti di forza nella diffusione delle responsabilità e nella collaborazione tra gli ottimi dirigenti e insegnanti che vi lavorano (ma aggiungo gli studenti, i genitori e tutto il personale della scuola), che sarà messa in serio pericolo dalla spinta al conflitto permanente prodotta dall'aver scelto la strada di dare libero spazio alle scelte personali del dirigente.
Ma che ha a che vedere questa cultura della decisione individuale con quella della scuola? Perché dovrebbe essere funzionale a risolvere i problemi reali della scuola? È forse questa paventata lentezza che ha bloccato l'autonomia o piuttosto sono stati i tagli permanenti degli ultimi decenni e la mancanza di un Progetto nazionale che indicasse la direzione nella quale le scuole, in autonomia, dovevano muoversi?
Il fascino del “capo”
Siamo evidentemente di fronte alla penetrazione entro i confini della scuola del fascino del decidere rapido del "capo" rispetto al faticoso deliberare partecipato. Paradossale, se si pensa che la scuola è forse l'unica istituzione costituzionale che sia riuscita a costruire, attraverso una storia fatta di faticose deliberazioni, una comunità di professionisti (dirigenti e insegnanti) che cooperano nel realizzare un progetto educativo pubblico. Non c'era altra strada per farcela.
Che senso ha invece la prospettiva di scegliere insegnanti singoli, in funzione del piano dell’offerta formativa dell’istituto? Come non rendersi conto che, eccetto alcuni casi (probabilmente la minoranza), il dirigente dovrà scegliere tra curricoli analoghi, fatti degli stessi titoli di studio (sempre che non si voglia mettere in discussione il loro valore legale), lasciando che sia un colloquio a giustificare la decisione? Oppure si sceglieranno dimensioni aggiuntive, non certo decisive per affrontare i problemi reali dell’apprendimento.
Inutile dare trasparenza a decisioni che saranno intrinsecamente aleatorie. Anche ammettendo che non siano impugnabili, non per questo saranno meno arbitrarie. 
La vera responsabilità del dirigente
La competenza e la conseguente responsabilità dell’insegnamento e dell'apprendimento deve essere assunta dalla professionalità insegnante.  É qui il nodo: la responsabilità del dirigente scolastico deve coesistere con altre responsabilità; sarebbe un disastro se gli insegnanti fossero ricacciati nel lavoro individuale, nelle aule e nell’anonimato assembleare del collegio.
I poteri del dirigente scolastico non ne escono né umiliati né diminuiti: il dirigente dirige, ma non dei “sottomessi”. Il rapporto tra dirigente e insegnante è tra due competenze e quindi tra due diverse condivisioni di responsabilità, nessuna di seconda mano all'altra.
Ci sono nelle scuole un'infinità di ottimi dirigenti, che spesso sono stati anche ottimi insegnanti, per cui c'è il forte rischio che nel passaggio di ruolo facciano diventare il loro progetto didattico quello della scuola: sarebbe un disastro. Il ruolo di dirigente non può comprendere l'appropriazione delle competenze riferite alla funzione dell’insegnare, bensì delle altre competenze nel governo dell’intero sistema dell’unità scolastica, e soprattutto nella valorizzazione di quelle degli insegnanti nel costruire e nel governare il progetto/processo di insegnamento-apprendimento.
Un processo decisionale cooperativo
È  questa la direzione a cui guardano i paesi OCSE più evoluti dove la richiesta di
accountability, non solo nella scuola ma in tutta la pubblica amministrazione, viene connessa con quella di una governance inclusiva e partecipativa, che consiste nel rendere accessibile e cooperativo il processo decisionale.
La scuola ha fondato le sue conquiste più importanti su un clima di cooperazione reso possibile proprio dalla impersonalità delle norme che hanno garantito percorsi pubblici per abilitazioni concorsi e assunzioni. Che dire della premiabilità del 5% dei docenti da parte del dirigente, quando la scuola ha già il fondo incentivante che dovrebbe servire proprio a riconoscere il merito di un lavoro ben fatto? Non basterebbe metterci i soldi?  Se invece il desiderio fosse  quello di stabilire una progressione di carriera per i docenti, allora avrebbe senso garantire la "portabilità" del livello acquisito, svincolandolo dalla scuola di appartenenza (e quindi dal suo dirigente), per affidarlo ad una valutazione nazionale.
La scuola pubblica, laboratorio di inclusione
Ma tra le conquiste della scuola c'è anche quanto ha fatto e continua a fare a livello di educazione interculturale, di integrazione degli alunni stranieri e dei diversamente abili. Non mancano certo le difficoltà, ma tutti dovrebbero essere concordi nel sostenere che questa è la direzione giusta perché il livello di conoscenza reciproca e coesione che si costruisce nel tempo della scuola non ha pari in nessun altro luogo e momento della vita.
Eppure si è deciso di favorire chi sceglie di mandare i propri figli in scuole private. Fra esse non mancano realtà importanti che giustificano appieno la tutela costituzionale della loro esistenza, ma è sufficiente un banalissimo confronto tra il livello di pluralismo culturale presente fra gli iscritti delle scuole private con quello delle scuole pubbliche e sulla presenza di stranieri e diversamente abili, per capire che è difficile far passare quei contesti come laboratori dell'inclusione. Allora, come si può ammettere che i genitori che aderiscono al progetto pubblico di scuola inclusiva paghino contributi volontari (obbligatori) i quali rappresentano frequentemente più del 50% delle entrate della scuola, e poi si detassino i genitori che scelgono le scuole private, certamente "scuole libere" ma anche scuole che
liberano dal contatto con la diversità?

Il rischio di chiusura e la vera risorsa
Ma ciò che più preoccupa è l'effetto che questa incoerenza politica produce su quegli insegnanti che da sempre hanno rappresentato la componente riflessiva delle scuole, capace di guidare i cambiamenti amplificandone gli aspetti positivi e minimizzando i danni delle le scelte sbagliate.
Oggi si percepisce una spaccatura nel loro agire, come l'apertura di un solco profondo che interrompe ogni scambio tra la scuola vera, che essi vivono quotidianamente, e quell'idea di scuola più generale che si sente "desiderabile" per tutti.
Se gli insegnanti più appassionati rinunciano ad alzare lo sguardo per guardare oltre la cattedra e i banchi dei propri alunni perdiamo la risorsa più preziosa della scuola. L'aula allora diventa il confine di senso del proprio lavoro, l'unico luogo dove ci si sente capaci di incidere, in cui la scuola "pensabile" può ancora diventare "possibile". Oltre quelle pareti cresce un disinteresse per le scelte più generali che spinge al massimo a farsi un'opinione, ma accompagnata dalla rinuncia a farla contare.
Stiamo spingendo chi ama davvero la scuola ad amare sempre più solo la propria.
La scelta di chiudere la porta dell'aula per restare all'interno del rassicurante microcosmo che si è costruito viene vissuta come l'unica via di fuga possibile dalle costanti delusioni, ma sempre di una fuga si tratta, oltre che di una sconfitta per tutta la scuola.
Se non si ferma questa deriva anche gli insegnanti che sentono la scuola come una seconda pelle cominceranno a contare gli anni che mancano alla pensione. Invece il loro entusiasmo e la capacità di lavorare nel pensando in grande è la principale risorsa per la buona scuola.
Che c'è già, e chiede solo di essere accompagnata.

UN preside capoccia o ducetto, insegnanti impegnati per essere notati come sorvegliati speciali...intanto cadono i tetti, mancano soldi si salvi chi può, ma restano esperienze virtuose, per quanto ancora?

martedì 7 aprile 2015

I Signori Dell'Appennino, da leggere e rileggere


Un intrigo entusiasmante! Gli Ubaldini tra di noi
Riccardo Bellandi, I Signori Dell'Appennino, Mauro Pagliai 






Personalmente già presente alla solenne ufficializzazione nel salone dei Duegento in palazzo Vecchio qualche anno fa, oggi ritorna in Mugello per la seconda volta Riccardo Bellandi con il suo affascinante romanzo al centro d'Incontro di Borgo San Lorenzo, in piazza Dante, ore 21,00

Quanti IDEALI cavallereschi ed amori complessi e contrastati, quanti combattimenti ed intrighi di potere, scontro feroce tra Guelfi e Ghibellini per il controllo della Toscana e le avventure intriganti del giovane Tano che ti guidano e avvincono nella lettura.

Un  ROMANZO STORICO, dunque cioè un'opera narrativa in prosa, in cui vengono raccontate varie vicende, fantastiche o verosimili, di uno o più personaggi, questa la generica definizione. Il romanzo storico è infatti in genere un tipo particolare di romanzo, che si basa sulla rappresentazione di fatti e personaggi inventati, sulla rappresentazione della società e del costume, con particolare attenzione per la classe nobile e/o borghese. Ma in questo romanzo si va oltre, si delinea una società così visibile da essere resa  reale sotto i nostri occhi, dalle connotazioni verbali precise e specifiche usate per descrivere abbigliamento, luoghi, personaggi, dalle descrizioni puntigliose e dettagliate, dall'ardore dei protagonisti, dagli odori che si sprigionano in ogni pagina emergono sensazioni che investono tutti i sensi e il solo leggere appare banale, l'immedesimazione è totale inebriante ma in molte pagine anche ripugnante proprio per gli aspetti realistici e macabri della incalzante narrazione.
"Alma Domus Ubaldini!" in coro l'orda degli assalitori rispose
"Quis Dominatur Appennini?" urlo di battaglia di Ubaldino
Tano si faceva largo con la spada in pugno, mentre intorno a lui divampava irrefrenabile il saccheggio. I suoi occhi annotavano immagini sempre più drammatiche e selvagge, inizi di incendi;  porte sfondate; uomini e donne agonizzanti sulla strada di fronte alle abitazioni, mentre gli assalitori si contendevano il bottino o già si dileguavano curvi sotto i sacchi colmi di refurtiva; donne dalle vesti strappate inseguite da branchi di soldati; ricchi mercanti e artigiani che vagavano con dita e mani mozzate per aver indossato anelli o bracciali. La gola e le narici si riempivano di quell'odore di sangue misto a fumo tipico dei campi di battaglia; acre e dolciastro, pesante e nauseabondo. Nella testa risuonavano i fragori di scaramucce, i lamenti dei feriti, le urla angosciate delle donne, i pianti dei bambini"

Accanto a personaggi storici realmente esistiti, si muovono personaggi inventati, ma verosimili, perché riflettono nel loro modo di pensare e di comportarsi la realtà storica e sociale di quell'epoca. Siamo sorpresi poi dalla folla, dalla presenza cioè  di personaggi collettivi come il popolo che si materializza di fronte ai nostri occhi con  atteggiamenti significativi  nei confronti degli eventi politici e sociali del Medioevo in Toscana. 
L'accattivante contesto storico duecentesco a partire dal Mugello e dalla Toscana tutta, si esalta negli scontri faziosi tra i grandi Signori che hanno segnato i territori come Guidi, Alberti, Aldobrandeschi e Ubaldini appunto, dei territori  vengono descritti aspetti reconditi e sorprendenti, dei personaggi che vi gravitano analizzati gli usi, i costumi, il linguaggio e i modi di vita. 
 Pagina dopo pagina si delineano episodi intriganti, personaggi eroici e semplici comparse in un mondo altro molto simile comunque nei risvolti emotivi e passionali, nelle scelte e negli entusiasmi a quello di oggi.
Un grande affresco in cui tra vicende storiche si delineano personaggi che soffrono, che si umiliano, che amano e che nella quotidianità intraprendono scelte che dettano e scandiscono i loro destini. Assedi come quello particolarmente cruento di Montaccianico e la difesa eroica  dei Signori dell'Appennino sotto lo sguardo di regia del Cardinale Ottaviano, vicende di semplici contadini rovinati dalla guerra così devastante e tanto altro ancora, non si finisce mai di scoprire addentrandosi nelle appassionate vicende.
In questo grande romanzo siamo catturati dalla magia e dalla grande competenza dell'autore, quella  di filtrare la storia attraverso lotte, amori e ideali dei personaggi che si muovono nelle pagine così agili e visibili da apparirci  balzanti di fronte prepotentemente, insistentemente, chiedendo di proseguire nella lettura per il  bisogno insistente di capire, di schierarsi dalla parte giusta, di andare oltre la vicenda narrata per comprenderne il significato più profondo, quello storico appunto.
 Immancabile la lettura da parte delle migliaia dei Mugellani che attualmente gravitano in quelle belle terre  pedemontane così segnate da trascorsi romantici e feroci. 
 Imperdonabile per tutti gli amanti del medioevo e dell'intreccio storico perdersi un simile romanzo.
Da leggere tutto di un fiato in attesa di un ...seguito che ci auguriamo arriverà presto

Per approfondimenti storici Riccardo propone un itinerario tutto da scoprire
www.riccardobellandi.it. 


Risultati immagini per i signori dell'appennino
l'assedio




Ricordatevi tutti che 

LEGGERE DANNEGGIA SERIAMENTE LA VOSTRA IGNORANZA


L'ora di religione

L'ORA DI RELIGIONE

Risultati immagini per l'ora di religione
interessanti confronti ed aperture all'insegna della convivenza civile

Non del film si tratta ma di una sensata proposta che potrebbe venire incontro a molti problemi sollevati negli ultimi anni, non per risolverli ma per affrontarli.
Certo in tempo di Pasqua non appare una proposta di senso né di consenso ma da qualche parte dobbiamo iniziare visto che la SCANSIONE DELL'ANNO è sottolineata da eventi religiosi che nella scuola dettano il cammino ed appare lecito, nulla da dire a proposito.
Ma se la conoscenza reciproca si viene formando proprio a partire dal periodo di scolarizzazione non si capisce perché sia così  difficile trovare il tempo ed il coraggio di superare l'insegnamento confessionale della religione cattolica, previsto dalla legge come facoltativo con ben tre opzioni di scelta offerte ai genitori ( avvalersene; studio individuale, materia alternativa, uscita o entrata anticipata o posticipata) a vantaggio  di un insegnamento delle religioni che apra la mente con aspetti storici, filosofici, con dibattiti su questioni attuali e criticità.
Il rispetto non si acquista, si conquista e quale miglior occasione di integrazione, interazione che l'analisi tra giovani vicini tra loro, frequentanti la stessa scuola, quindi compagni, ma di costumi svariati, di principi diversi e divergenti?
Se giovani cristiani e musulmani, ebrei e buddisti, atei e agnostici, insieme ognuno con il suo pensiero guidati da un docente laico potessero restare insieme ed imparare l'uno dall'altro non sarebbe una conquista democratica all'insegna della diversità e della conoscenza, dell'interazione ed accrescimento culturale?
Molti docenti illuminati già seguono queste tracce di apertura ma sono controllati, monitorati e costretti ad una alfabetizzazione cattolica prevista dalla normativa che non lascia grandi libertà di progettazione.
Si sbandiera tanto la diversità come valore ma poi siamo i primi a distinguere e dividere in base alle tante diversità non certo all'insegna di un accrescimento culturale