mercoledì 30 luglio 2014

Viaggio nelle pari ( o dispari) opportunità



Benvenuti in questo breve viaggio nel villaggio globale iniziato da molti anni, sicuramente  "fine viaggio mai"











Partiamo dal principio giuridico, oggi ben chiaro, rivolto a diminuire gli ostacoli alla partecipazione economica, politica, sociale di un qualunque individuo inerenti a ragioni connesse al genere, alla religione, alle scelte personali, alle etnie di appartenenza, alla disabilità, all'età, all'orientamento sessuale di cui tanto si discute.
Se pensiamo che sia una vera svolta per l'Umanità affrontare seriamente la nostra emancipazione attraverso un sostanziale cambiamento di mentalità siamo già avanti.
 I nuovi orizzonti di legalità dovranno imbattersi, non c'è dubbio, nella leaderschip femminile di cui da tempo si discute. Oggi si sostiene che gli stereotipi di genere perdono presa sui giovani perché IL GENERE DEFINISCE SEMPRE MENO l' identità delle persone. Questa è la tesi di un articolo di Sharon Jayson uscito da poco su USA Today (Gender loses its impact with the young)  
L'articolo si basa su un rapporto di The Intelligence Group del 2013 che mette in evidenza una preferenza della GENERAZIONE Y, giovani tra i 18 e i 24 anni, e dei più giovani GENERAZIONE Z, dai 14 ai 17 anni per il genere NEUTRO nell'abbigliamento e nella genitorialità, cioè per l'abbandono dei tradizionali STEREOTIPI DI GENERE
Alcuni dati del RAPPORTO:
• Oltre i 2/3 del campione ritiene che il genere non definisca più le persone come succedeva un tempo
•il  60% del campione ritiene che i confini tra generi si stiano sfumando
• circa i 2/3 del campione afferma che la loro generazione sta spingendo i confini di quello che significa maschile e femminile
Il 42% del campione è addirittura confuso riguardo ai ruoli di genere.
Altri segnali che vanno nella direzione di un abbandono degli stereotipi di genere:
  • Molti college americani non dividono più le opzioni abitative né i bagni per genere.
  • Sono in aumento i nomi unisex per i neonati.
  • Facebook ha annunciato che i propri utenti possono scegliere tra oltre 50 opzioni per definire il proprio genere. (Mi sembrano troppi!!!)
Insomma, forse gli stereotipi di genere stanno morendo di morte naturale o forse le nuove generazioni ne sono semplicemente immuni ? 
Non so cosa pensare ma pur vivendo in mezzo ad adolescenti e notando che qualche cosa si sta muovendo, non mi sembra di poter condividere pienamente certe affermazioni
Ritengo  che per le donne dai 20-30 anni in su in Italia, gli stereotipi di genere siano  una forte barriera alla leadership femminile non facile da rimuovere.
C'è molto lavoro da fare e le scuole dovrebbero essere ambienti costruttivi in tal senso, a questo proposito vorrei segnalare la presentazione di un manuale per educatori e docenti:
 mercoledì 30 luglio, ore 18.00 presso l'Auditorium del Centro di Incontro in Piazza Dante a Borgo San Lorenzo presentazione  della pubblicazione "Pop-Up. Un progetto per la promozione delle pari opportunità di genere".
"Pop-Up" è un manuale di educazione alle pari opportunità che si rivolge a insegnanti ed educatori proponendo loro specifiche attività, tutte strutturate e da realizzare secondo le metodologie dell’Educazione Non Formale.
Il libro è il risultato dell'omonimo progetto educativo che ha consentito di realizzare un ciclo di laboratori nelle classi III del Liceo Giotto Ulivi di Borgo San Lorenzo, durante l'anno scolastico 2013/14, con l’intento di sensibilizzare i partecipanti e ridurre le cause culturali di discriminazione basate sull’ identità di genere.
Il progetto e la pubblicazione sono stati realizzati dall'Associazione Beecom grazie al finanziamento della Regione Toscana, Direzione Generale Diritti di Cittadinanza Coesione Sociale (L.R. 16/2009 “Cittadinanza di Genere), con la partnership del Comune di Borgo San Lorenzo e della Cooperativa ConVoi, la collaborazione dell'Associazione “Il Rocchetto”, la disponibilità e l'interesse dell'Istituto di Istruzione Superiore Giotto Ulivi.
La presentazione del manuale sarà l'occasione per favorire il confronto e il dialogo sui temi dell'educazione alle pari opportunità e delle differenze di genere; con gli interventi dell'assessora alla cultura e alla pubblica istruzione del Comune di Borgo San Lorenzo, Cristina Becchi, la presidentessa dell'Associazione Beecom, Serena Landi, la psicoterapeuta Valentina Silvani (Associazione il Rocchetto), la presidentessa di Cooperativa ConVoi, Federica Fantacci oltre alla consigliera con delega alle Pari Opportunità del Comune di Borgo San Lorenzo Emanuela Periccioli.
Storicamente veniamo da una struttura familiare che ha in sé la disuguaglianza, la disparità di diritti e poteri  e di questo ci stiamo, lentamente, liberando; nel frattempo la società ha sancito la parità formale, ma non ha cambiato i modelli di pensiero e non permette alle persone di porsi in condizioni di pari opportunità, perciò, paradossalmente, avere più diritti mette anche più a nudo le difficoltà delle donne che oggi lavorano e che hanno come da sempre la responsabilità di figli e anziani, mentre per gli uomini l’unica vera responsabilità sembra essere la loro carriera.
 Le cose stanno cambiando, ma la struttura è così perversa che se oggi un uomo vuole curare suo figlio/a e prendersi un congedo, o un part time, o semplicemente i suoi spazi vitali, spesso diventa, professionalmente, “una donna” senza possibilità di carriera ed ... altro.
  Forse oggi non sappiamo più cosa significhi essere maschio e femmina, non ci sono chiare differenze che caratterizzino gli uni e gli altri; basti pensare appunto all’ abbigliamento dei nostri ragazzi, ormai privi di connotati chiaramente femminili o maschili o alle pubblicità che mescolano i sessi e i rapporti tra loro, alle donne che sul lavoro assumono atteggiamenti e mentalità maschili per sentirsi adeguate al loro ruolo per poter farsi valere o estremamente femminili e provocanti per essere prede.

Le differenze tra i sessi esistono e bisogna valorizzarle, in modo da trasmettere un modello e una chiara identità ai ragazzi, una consapevolezza dei diritti, che possa essere un punto di partenza forte per una crescita futura, per una sana emancipazione.

giovedì 24 luglio 2014

Fili d'argento, pensieri d'oro

Una piacevole filastrocca per esprimere il senso di una vita 

dedicata, l'impegno che resta quando il punto di vista non 

cambia e la motivazione supera la soglia della vita, quando 

la via intrapresa non ti permette di mollare ma solo di 

crescere

FILASTROCCA DI ADDIO ALLA SCUOLA

Bruno Tognolini

Gli anni con gli anni marciano, rondini e tartarughe 
Luce di belle estati, pomeriggi di tedio 
I figli e i fogli crescono, con le righe e le rughe 
Nei passi di progetti, di lezioni e di studio 
Nei visi di bambini, poi ragazzi e ragazze 
Che vengono per chiedere, e che alla fine danno 
La scuola nelle scuole, la spesa nelle piazze 
La pazienza che occorre per cominciare un anno 
Gli anni sono passati, questo devono fare 
Onde di tanti giovani in una vita sola 
E alla fine arriva l'ora di salutare 
Di restituire il compito di una vita di scuola 
La pensione comincia, la fatica è finita 
Ma non si va in pensione dal senso di una vita 
Non si dismette un compito portato con onore 

Non si va in pensione da un nome: 
Professoressa

venerdì 18 luglio 2014

Intorno al viaggio, in tempo di vacanze estive


A proposito di vacanze, l'anno  è terminato, promozioni e bocciature lasciano spazio a leggerezze estive, le scuole, nonostante tutto quello che si dice, sono chiuse nell'orario pomeridiano e semi-deserte al mattino, vuote, appaiono come scheletri smarriti in cerca di significato; nel frattempo per ammortizzare il tempo qualche addetto ripulisce scaffali ed aule senza la minima conoscenza rispetto all'utilizzo dei materiali, molti oggetti gettati senza il dovuto processo di documentazione ancora ostico e  difficile da digerire e... poi si riparte a settembre, freschi si fa per dire, spesso iniziando ex novo un percorso magari già da altri ben strutturato...così va la scuola.
  Altre partenze ci attendono senza però dimenticare che:
  Partire è un po’ morire        
                                                                                                     In merito alla melanconia       
  Partire è un po’ morire - rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po’ di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
E’ un dolore sottile e definitivo
come l’ultimo verso di un poema …
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo - un po’ della nostra anima. 
Edmond Haracourt

Non servono ulteriori parole per commentare, il testo si presta ad essere letto e riletto per scoprire sempre qualche aspetto nuovo, qualche suggestione; è questo il valore della poesia.

                                                                                                       In merito alla scoperta

Viaggiare è una brutalità. 
Obbliga ad avere fiducia negli stranieri e a perdere di vista il comfort familiare della casa e degli amici. 
Ci si sente costantemente fuori equilibrio. 
Nulla è vostro, tranne le cose essenziali, 
l’aria, il sonno, i sogni, il mare, il cielo,  
tutte le cose tendono verso l’eterno o ciò che possiamo immaginare di esso. 
Cesare Pavese
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell'avere nuovi occhi M.Proust 
Se il viaggio è un sogno e il sogno è un viaggio possiamo pensare di partire restando nelle "nostre tiepide case"



in merito alla lettura
Leggere è un po' partire, un po' morire rispetto al nostro io per calarsi in altro, è un po' rivedere i punti di vista, perderli, per poi ritrovarli modificati, legittimamente fluttuanti, protesi verso l'eterno, innovati, innalzati. 
Un buon libro non tradisce, non isola ma  accompagna.




sabato 12 luglio 2014

Intorno all'incanto

 Pubblico un interessante articolo di Giuseppe Bagni, tratto  da Insegnare on line, relativo a ciò che bolle in pentola rispetto al mondo della scuola; lo scritto mette in evidenza come l'INCANTO sia un aspetto professionale non "contrattualizzabile" ma indispensabile per le nostre aule, da non banalizzare o disperdere, semplicemente da valorizzare.

 L'incanto smarrito
di Giuseppe Bagni
Non scrivo volentieri del "piano per la scuola" di cui sono uscite alcune notizie sui giornali: ne sappiamo troppo poco.
Dico solo che si prosegue con la logica delle anticipazioni parziali e aperte a diverse interpretazioni che stimolano le reazioni confuse e di pancia dei soggetti interessati. Che diventano sempre meno soggetti, sempre più massa indistinta dove i ruoli specifici non contano più nulla (tutti scrivono di tutto). Con il comune denominatore di essere un pubblico che fischia o applaude di fronte a uno spettacolo che comunque si svolge altrove. 
Restando su questa strada si rinuncia a stimolare partecipazione e a costruire consenso su posizioni che siano un avanzamento rispetto a quelle portate da ciascuno. Dispiace, perché abbiamo un esagerato bisogno di buona politica, quella che si pone l'obiettivo di far crescere il pensiero del Paese. Della pessima, che cerca di scoprirlo per trarne consenso, ne abbiamo avuta abbastanza.
Preferisco, per così dire, "riflettere sulle nostre riflessioni" cercando di capire cosa c'è dietro i tanti insegnanti che non rispondono un no secco al “raddoppio” dell'orario di lavoro, ma accettano il confronto e sono disponibili a ragionarci sopra. 
Non sono pochi, e sono insegnanti consapevoli del valore del proprio lavoro. Ne troviamo tracciaanche nei commenti che pubblichiamo in questo spazio della rivista, molto ricchi e stimolanti.
Cosa li spinge? Faccio alcune ipotesi: il senso di responsabilità rispetto alla situazione di crisi del Paese; la convinzione che questa sia la strada giusta per risolvere i problemi reali della scuola; il miraggio di uno stipendio finalmente europeo.
Nessuna delle tre motivazioni mi convince.
Gli insegnanti consapevoli sanno di lavorare alle prese con una carenza di risorse di cui non si vede fine e di far comunque funzionare la scuola (una delle poche istituzioni ritenute ancora degne di fiducia) grazie al proprio impegno. Il senso di responsabilità lo dimostrano tutti i giorni.
Che sia la strada giusta per migliorare la qualità della scuola non ci può credere nessuno che capisca di scuola. I problemi sono sul tappeto da anni, ben documentati dalle rilevazioni europee e dall'Invalsi: un livello di dispersione che non si riesce a intaccare; differenze abissali da regione a regione come se la nostra penisola fosse in realtà un arcipelago che comprende la Finlandia e il Qatar; scelte di scuola che chiudono gli orizzonti, con differenze di profitto "tra" le scuole diventate più grandi di quelle tra gli alunni "nella" stessa scuola!. Come dire che invece di "rimuovere gli ostacoli" alla realizzazione individuale, il contesto scuola ne produce di nuovi.
Di fronte a questa situazione gli insegnanti sanno che ci vogliono ben altri interventi prima di parlare di orari e di aperture serali. Perché una scuola può essere "aperta al pubblico" fino alle 22 senza per questo svolgere bene la sua funzione "pubblica", istituzionale, che è altra cosa. Non ci serve una scuola che prosegua al pomeriggio, nei corsi di recupero, il pessimo lavoro iniziato al mattino.
Nemmeno la prospettiva di uno stipendio europeo spiega da sola la disponibilità a  discutere del proprio orario di lavoro. Altrimenti resta impossibile capire cosa abbia spinto fino a oggi tanti ottimi insegnanti (non tutti ma tanti) a far bene il proprio lavoro pur in cambio degli stipendi attuali.
 Io dico che le ragioni sono più profonde e fanno capo al disincanto. La fine dell'illusione di questi insegnanti di modificare in tutto o almeno in parte l'immagine stereotipata del loro lavoro che viene fatta propria dalla politica ("gli insegnanti in Italia lavorano meno.").
Se per l'opinione pubblica restiamo quelli che godono del privilegio del posto fisso, delle 18 ore di lavoro settimanali e dei tre mesi di ferie l'anno, allora l'unica possibilità è cambiare tutto. Una posizione forte, ma anche facile da assumere da parte di chi sa di lavorare già ben oltre 36 ore settimanali. Pur di distruggere lo stereotipo dominante sugli insegnanti si diventa disponibili a mettere tutto in mostra, facendo tutto a scuola, sotto gli occhi attenti del dirigente. In fondo non è il massimo dei piaceri usare le domeniche e i dopo cena per correggere i compiti.
Temo fortemente il disincanto degli insegnanti consapevoli perché porta paradossalmente a conclusioni condivise anche da una fetta di insegnanti che l'incanto dell'insegnare non l'hanno mai conosciuto. Quelli che si limitano all'orario obbligatorio, che quando escono da scuola chiudono con la scuola, disponibili a starci un'ora in più solo se monetizzata. A loro le 36 ore andranno benissimo se pagate, e faranno la coda fuori della presidenza per offrire i loro servigi. Poi saranno ancora in coda, con il badge in mano per strisciare per primi l'uscita, ben prima della trentaseiesima ora. Ci sono in tutte le categorie anche se non rappresentano la categoria.
 Ma temo il disincanto soprattutto perché non fa loro vedere come dietro la razionalità della proposta vi sia l'obiettivo di confinare in uno spazio e in tempo ben definiti e "visibili" il lavoro degli insegnanti. Una scelta che l'incanto dell'insegnare rischia di seppellirlo per sempre.
Cosa dovremmo fare allora? Faccio alcune proposte.
imponendo la discussione, prima che sugli orari dei professori, sul loro profilo professionale. Perché ciò che fanno a scuola è più importante di quanto ci stanno.
Chiedere che la politica si (e ci) interroghi su quale sia oggi l'insegnamento più efficace con questi nuovi adolescenti e si impegni a dar forma (prima che riforma) alla scuola che vogliamo.
Ma soprattutto deve essere salvaguardato l'equilibrio tra ciò che dell'insegnamento può essere illuminato senza che questo lo snaturi, e ciò che deve essere riconosciuto, ricostruito, valutato, ma lasciandolo in quella zona d'ombra che accompagna sempre l'atto stesso dell'illuminare.
 Don Milani diceva che il maestro è l'unico adulto che non ha interessi culturali quando è solo. Come dire che anche quando è solo non lo è mai del tutto, nel senso che tutto quello che fa, scopre e impara, è pensato per essere trasferito ai suoi alunni. Ovunque sia e in qualunque momento, pensa da maestro.
Un'assenza di confini di questa portata può spaventare, ma dobbiamo proteggerla con tutte le forze. Perché è lì che si nasconde il segreto dell'incanto

Provo a commentare 
Mi sembra così interessante leggere materiale frutto di profonda e sentita riflessione  che potrebbe sfuggirci, condivido pienamente le considerazioni di Giuseppe così ben articolate in particolare  le sue  conclusioni, urge che i nostri politici attivino tavoli di discussione non per parlare del quanto e del cosa rispetto alla scuola ma del come e del perché, "ciò che fanno a scuola è più importante di quanto ci stanno", quanta  verità in queste semplici parole. Credo che anche i tempi vadano rivisti insieme alle modalità, ma in una visione illuminata d'insieme, non in un'ottica segmentata di apparente efficientismo. 
L'incanto appare indispensabile, più di qualunque valore assoluto ma è un aspetto personale e privato  di vivere la scuola che molti docenti sperimentano con competenza, fantasia e disponibilità perché fa parte del loro essere "maestri", il problema vero sta nel non  disperdere questa preziosità ma anche e soprattutto nella capacità di  costruire contaminazione efficace. Pensare da maestro fa parte della professionalità che va  costruita con cura ed attenzione come in ogni mestiere e non lasciata alla casualità od occasionalità o ancora solo al personalismo; il ruolo del docente nella sua specifica funzione dovrebbe apparire come una valorosa conquista, ma per promuovere questo dall'alto urge un'idea di fondo di ciò che oggi deve essere e rappresentare la nostra scuola ed il lavoro di tutti che dovrebbe necessariamente essere volto a  fecondare quel carcere  troppo spesso triste, quelle aule  troppo spesso malinconiche .
Un tunnel di buio o di luce? Se "l'incanto" sarà condiviso e condivisibile, la luce avrà il sopravvento
Per vedere in fondo al tunnel, serve un cartomante? No, sarebbero sufficienti proposte sensate.  

martedì 8 luglio 2014

I bravi insegnanti

"I bravi insegnanti sono quelli che hanno saputo fare esistere dei mondi nuovi con il loro stile. Sono quelli che non ci hanno riempito le teste con un sapere già morto, ma quelli che vi hanno fatto dei buchi."
Massimo Recalcati.

Quanti buchi abbiamo provocato? Questa domanda appare inquietante ma non lo è: se infatti proviamo ad esaminare il termine "sapere già morto" forse incontriamo resistenze da parte di molti docenti che ritengono il metodo tradizionale, prevalentemente trasmissivo, vincente  e portatore di CULTURA. Il problema si pone dal momento in cui ci poniamo la domanda quale cultura per i nostri giovani? Quale tipo di scuola? Quale professionalità?
Perché partire da noi? Perché NOI siamo la scuola
 4 importanti caratteristiche in cui riconoscersi

       L’UE indica come priorità a tutti i livelli di istruzione e formazione il rafforzamento di capacità innovative ed il potenziamento della creatività, la prima conquista-sfida dovrà essere la promozione e l’acquisizione di competenze chiave trasversali: competenza digitale, imparare ad apprendere, capacità di iniziativa, consapevolezza culturale.

In questa ottica cerchiamo di analizzare il nostro profilo professionale
Queste caratteristiche  indicano la  cura e l'attenzione che un buon “maestro” deve   dedicare  agli allievi ed ai  loro risultati.
I bravi insegnanti sono a scuola per i loro allievi e la loro vocazione è la forza pulsante  della loro professionalità.

IL RISPETTO e l'attenzione
ü  Si riferisce a tutto ciò che un bravo insegnante fa e all'attenzione che  presta perché tutti trattino gli alunni e ogni altro membro della comunità scolastica con rispetto. I bravi insegnanti non solo tengono conto degli altri e delle diversità presenti nella comunità scolastica, ma sanno mantenere il rispetto degli altri anche quando sono duramente messi alla prova. Al livello più alto questa caratteristica si manifesta nell'intraprendere azioni per creare il senso di comunità nella classe e nella scuola. ( costruire abilità sociali)

LE SFIDE e le vittorie
ü  I bravi insegnanti propongono sfide e forniscono sostegno per vincerle. Sono dei mediatori che nei momenti cruciali esprimono aspettative positive, non smettono mai di alimentare l'autostima nei loro alunni e di manifestare  il convincimento che possano riuscire sia  nella scuola che nella vita. (Coltivare l'autostima) Combattono e accettano sfide perché tutti gli alunni ricavino il massimo dalla scuola.

      LA FIDUCIA in sé e negli altri
 ü  I bravi insegnanti mostrano fiducia nelle proprie capacità in moltissime situazioni, sono ottimisti rispetto agli obiettivi  prefissati. Partecipano alle attività di innovazione e collaborano indirizzando l' andamento della scuola verso il miglioramento della sua efficacia educativa, fanno ricorso alla propria esperienza per contribuire allo sviluppo delle politiche e dei processi scolastici. 
      Dimostrano una forte resistenza emotiva quando si trovano a trattare ragazzi difficili e situazioni problematiche; in virtù delle loro competenze professionali e della loro esperienza riescono sempre a mantenere la calma. Credono nei loro allievi e nella possibilità di contribuire alla costruzione del loro futuro. Si identificano con il lavoro e vivono la sfida di un ruolo sempre più di frontiera.

      LA COERENZA e la relazione
ü  I bravi insegnanti sono coerenti e giusti,  ispirano fiducia ai loro allievi perché riescono a fare sempre quello che dicono o si giustificano umanamente quando le sfide sono apparse troppo alte. Sono sinceri e sanno costruire relazioni efficaci, creano un clima che consente ai ragazzi di essere se stessi, di esprimersi e di non temere di compiere errori, ( l'errore è prezioso proprio perché permette cambiamento) è un importante punto di partenza per l'apprendimento. Sono un punto di riferimento affidabile rispetto ad un mondo per molti allievi inquietante, sono adulti di riferimento, credibili, competenti.

 infine... L'INCANTO
     Un insegnante illuminato credibile e sensibile in una scuola illuminata.


 "Don Milani diceva che il maestro è l'unico adulto che non ha interessi culturali quando è solo. Come dire che anche quando è solo non lo è mai del tutto, nel senso che tutto quello che fa, scopre e impara, è pensato per essere trasferito ai suoi alunni. Ovunque sia e in qualunque momento, pensa da maestro."  da L'incanto di G. Bagni (pubblicato nel post successivo)

Proprio in questo consiste il magico INCANTO




mercoledì 2 luglio 2014

Cosa bolle in pentola

Leggo da La Repubblica, 2 luglio, un anticipo di riforma proposta dal ministro Giannini,  mentre già si respirava nell'aria un probabile cambiamento.
In una stasi senza fine dare il benvenuto al cambiamento è doveroso ma bisogna puntualizzare forse qualche aspetto già prima della messa in atto: Formazione, impegni, merito, contratto/orario; molte, forse troppe proposte rivoluzionarie in un sol colpo.
Iniziamo dalla formazione appunto.
Da tanti anni il CIDI stesso propone una Formazione obbligatoria e di qualità per tutti i docenti, non è poi così semplice perché le domande che sorgono spontanee sono: che tipo di formazione, verso quali obiettivi direzionali deve andare la scuola, quali competenze relazionali, che tipo di didattica professionalizzante, a quale livello, con quale scopo? I governanti di questo bel  Paese  "hanno sempre trattato la scuola pubblica proprio come un rubinetto per distribuire piccole rendite ai propri clientes" nominandoli  prima insegnanti  con concorsi discutibili e sanatorie varie, poi lasciati morire in solitudine e spesso incapacità, senza alcun  supporto  per riflettere sulla propria professionalità e cassetta degli attrezza  da mettere finalmente in gioco.
"L’università pubblica italiana, quindi, si è assunta, con dubbia legittimità costituzionale, il compito di scambiare la selezione e la formazione a pagamento dei futuri insegnanti con la possibilità di entrare in un ruolo della scuola altrettanto pubblica. E in cosa consiste allora tale formazione? Consiste in sostanza di tre ambiti, la didattica disciplinare, la formazione pedagogica e il tirocinio.
Le ore di didattica disciplinare sono gestite, sotto gli occhi di tutti, dai medesimi professori universitari già responsabili delle spesso problematiche lauree specialistiche, come se, per astratte vie, il disciplinarista si trasformasse in un didatta della disciplina, figura professionale che invece non può che svilupparsi all’ incrocio del sapere con il fare e il pensare nelle aule di scuola. Alle ore suddette si aggiungono quindi le altre ore affidate ai pedagogisti e alle molte pagine dei manuali di pedagogia, come se un aspirante insegnante, immerso a capofitto in letture e discorsi di pedagogia, potesse sviluppare una qualsivoglia capacità pedagogica. Quale maestro non sa che invece essa è una faticosa disposizione dell’essere di un insegnante che si sedimenta nell' incessante ripensamento tra lo studio, l’osservazione e l’interazione nelle classi, e la discussione appassionata delle situazioni in cui si trova coinvolto. 
A tutto ciò si devono finalmente aggiungere molte ore di tirocinio nelle scuole, affidate a insegnanti di ruolo, ma spesso scelti per necessità in maniera sostanzialmente casuale. E inoltre, poiché i decreti istitutivi di tali tirocini sono per lo più tardivi e non esaustivi, tale periodo diventa una successione di ore freneticamente affastellate, conclusa dall’elaborazione di una tesi di tirocinio guidata da un supervisore, che questa volta è un insegnante effettivamente selezionato, ma che in realtà è costretto a svolgere il suo compito in tempi del tutto inadeguati e a partire dalle improbabili esperienze didattiche e pedagogiche svolte dai tirocinanti nelle classi." 
 
Interessante riflessione sulla formazione degli Insegnanti, pubblicata su Insegnare on line, di Rosy Gambatesa della segreteria del CIDI di Bari.
( La farsa delle commissioni di valutazione  narra di questo dolente cammino)
Questo appare, ad oggi, lo scenario del reclutamento e della FORMAZIONE, ma la scuola non è tutta e solo qui, tanto cammino molti docenti hanno intrapreso con l'energia della solitudine e la determinazione data dall'amore per la propria professione, capacità acquisite con fatica e risorse personali, valutazioni di percorso confrontate nei grigi corridoi con colleghi amici di lotta e di iniziative, quotidianità tristi rese brillanti solo dal proprio entusiasmo. Quanta professionalità si vede  nelle spesso tristi ed affollate aule, quanta voglia e capacità di fare e di proporre, creatività sostitutiva di preparazione, arte di arrangiarsi contro limiti indotti da ristrettezze economiche sempre in avanzamento, quanta voglia di respirare aria nuova ricercando a caro prezzo e fatica stimoli e risorse in diversificate offerte formative non sempre di qualità. Vivere le classi con entusiasmo e capacità si può, ma non si deve, appare non sempre un merito, non sempre una verace risorsa; non possiamo meravigliarsi di questo visto il clima che si respira indotto da scelte politiche degli ultimi anni  che hanno abbassato il livello culturale-etico dei nostri giovani e non solo.   Sul merito non ho idee chiare, resta comunque che non si parla di merito solo e soprattutto scomodando l'aspetto più eclatante, ore per mandare avanti la baracca, sostituzione docenti, da intendersi supplenze, la connotazione didattica del proprio lavoro potrebbe comportare accesso al merito, la valutazione del docente e dell'istituto, ma su quali parametri ? Chi si fa promotore di  innovazione dovrebbe avere  diritto a leciti compensi, attualmente non è così.
 Ancora il buio anche se già è importante che se ne parli.
Contratto, aspettiamo nuove novelle per riparlarne, contratto unico o ancora tre- quattro contratti diversi nonostante la laurea  obbligatoria e l'istituzione dei tanto osannati Comprensivi?
Orario, da anni si sente questa voce, legittima, vissuta dagli insegnanti come una mannaia in arrivo, (chi può scappi arriva la punizione divina, dopo tanto permissivismo i tempi d'oro sono finiti) ma indispensabile per dare credibilità ad un lavoro che nel tempo ha perso dignità ( ed invece c'è dignità da vendere e da ritrovare), per dare una collocazione sociale di prestigio come merita il docente, prezioso demiurgo socialmente utile. 
Idea intelligente e grandiosa, più orario per tutti e scuole aperte fino alle 22,00, ma appare una sfida altamente complessa, entrano in ballo diritti, sicurezza,  recupero personale ATA dopo strategici tagli, manutenzione, investimenti per creare spazi e strutture adeguati per l'accoglienza di studenti e docenti, un'assunzione di responsabilità collettiva alta che prevede  investimenti ingenti e non i tagli che fino ad oggi hanno connotato il disimpegno politico verso la scuola. 
URGE UN PROGRAMMA SERIO per il rilancio realistico del sistema formativo ma qualunque passo, seppur modesto, apparirà migliore dell'attuale INGESSATURA.