Fiesole 2 Marzo 2021
Ieri sera il cielo era coperto di STELLE, brillanti e luminose come raramente si possono osservare
Vivere in Città può essere piacevole, magari non in
questo cupo momento, però la necessità di illuminazione
nelle aree fortemente abitate ci impedisce
di vedere le stelle.
Se riusciamo a raggiungere luoghi più oscuri, entro le 22 mi raccomando, o se viviamo in un paesino o in campagna godiamoci lo spettagolo gratuito, straordinario e sorprendente del cielo stellato
... Quando rivolgiamo lo
sguardo verso ogni punto che brilla in cielo, sembra che stia lampeggiando.
Tutti sappiamo che le stelle,
come il sole, non lampeggiano e talvolta sembrano
cambiare colore, è l'atmosfera, la
responsabile.
La luce che emanano
le stelle e che percorre un lungo cammino fino alla Terra non subisce nessuna deviazione. Viaggia
in linea retta. La sua
traiettoria cambia quando deve attraversare l'atmosfera.
L'atmosfera, nonostante sia trasparente, non è uno strato con una densità uniforme.
La parte che si trova più vicina alla superficie è più densa degli strati più
alti. Inoltre, di giorno si creano correnti
d'aria calda che essendo più dense di quelle fredde, ascendono.
Tutto ciò fa si che
l'atmosfera si trasformi in un gas
turbolento.
Quando la luce delle
stelle sta per arrivare a noi, deve attraversare l'atmosfera. Ogni volta che
s'incontra con uno strato d'aria
di diversa intensità, subisce
una leggera deviazione.
Subisce una rifrazione cambiando da una
densità all'altra e così continuamente. Dato che l'aria è in costante
movimento, anche le stelle sembrano muoversi continuamente, dandoci la
sensazione che stiano lampeggiando. Queste piccole deviazioni possono anche far
si che le stelle cambino di colore, come succede al sole quando si posiziona
sull'orizzonte.
Dante Alighieri- Divina Commedia- INFERNO
Canto XXXIV , ultimo de la prima cantica di Dante Alleghieri di Fiorenza, nel qual canto tratta di Belzebù principe de’ dimoni e de’ traditori di loro signori, e narra come uscie de l’inferno.
"Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira",
disse ’l maestro mio, "se tu ’l discerni".
3
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira,
6
veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, ché non lì era altra grotta.
9
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro.
12
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte.
15
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante,
18
d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
"Ecco Dite", dicendo, "ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi".
21
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco.
24
Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’ hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo.
27
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno,
30
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia.
33
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto.
36
Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
39
l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta:
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e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.
45
Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’io mai cotali.
48
Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello:
51
quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
54
Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.
57
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
60
"Quell’anima là sù c’ ha maggior pena",
disse ’l maestro, "è Giuda Scarïotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
63
De li altri due c’ hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!;
66
e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto".
69
Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l’ali fuoro aperte assai,
72
appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia
tra ’l folto pelo e le gelate croste.
75
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
lo duca, con fatica e con angoscia,
78
volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale,
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
81
"Attienti ben, ché per cotali scale",
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
"conviensi dipartir da tanto male".
84
Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso
e puose me in su l’orlo a sedere;
appresso porse a me l’accorto passo.
87
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’io l’avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere;
90
e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch’io avea passato.
93
"Lèvati sù", disse ’l maestro, "in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
e già il sole a mezza terza riede".
96
Non era camminata di palagio
là ’v’eravam, ma natural burella
ch’avea mal suolo e di lume disagio.
99
"Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio", diss’io quando fui dritto,
"a trarmi d’erro un poco mi favella:
102
ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?".
105
Ed elli a me: "Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
108
Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
al qual si traggon d’ogne parte i pesi.
111
E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
114
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola spera
che l’altra faccia fa de la Giudecca.
117
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
fitto è ancora sì come prim’era.
120
Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fé del mar velo,
123
e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
quella ch’appar di qua, e sù ricorse".
126
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono è noto
129
d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
132
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,
135
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
138
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
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