Quante stelle ci hanno lasciato in questi ultimi anni e mesi, alcune hanno segnato il secolo passato illuminandoloaltre sono state sinonimo di cambiamento e rinnovamento. Due Grandi diversi ma simili ci hanno fatto sognare con parole, musica e poesia e passi lievi di danza di una naturale unica eleganza armonica, ci hanno lascito ma restano come simboli di due mondi artistici non in competizione ma che si completano. Franco Battiato e Carla Fracci. di loro tanto si è scritto e si narrerà, gesta, epopee e storia delle loro vite di impegno artistico e civile.
Vorrei solo banalmente rammentarli senza nessuna narrazione particolare visto che tutto possiamo reperire facilmente sulle loro vite strardinarie.
Franco, ovvero Francesco Battiato, cantautore, eclettico musicista, regista e pittore siciliano nato il 23 Marzo 1945 a Ionia e morto il 18 maggio 2021 a Milo
Del 1979 L’era del
cinghiale bianco, una svolta tra musica
sperimentale e POP d’autore; famoso per i suoi testi tra misticismo e citazioni
storiche molteplici, sapiente nel miscelare influenze musicali e incursioni di
stili diversi nei suoi sublimi arrangiamenti. Un grande musicista, un santone, un asceta che è
riuscito a coniugare con unicità di grandezza complessità e semplicità.
La sua musica resterà con Noi
comunicandoci ampio respiro, evocazione eterna, necessità di cambiamento e
purezza ascetica.
Carla, ovvero Carolina
Fracci, una tra le più grandi ballerine italiane nata a Milano il 20 agosto
1936 e morta a Milano il 27 Maggio 2021, una star assoluta nel mondo della
danza, avrebbe compiuto ad agosto 85 anni. Indimenticabile nella sua
sofisticata eleganza in ruoli classici, da Giulietta a Giselle, una leggenda
avvolta nella sua candida aurea, ricca di vitalità e spirito
Del 1969 LA DANZATRICE STANCA di Eugenio Montale
La poesia, che appartiene alla
racconta “Diario del ’71 e del ’72”, è in versi liberi ed è dedicata a Carla
Fracci, una delle maggiori danzatrici classiche italiane. Nel 1969 la Fracci
era in attesa di suo figlio quindi lontana dalle scene per maternità.
Torna a fiorir la rosa
che pur dianzi
languia…
Dianzi? Vuol dire
dapprima, poco fa.
E quando mai può
dirsi per stagioni
che s’incastrano
l’una nell’altra, amorfe?
Ma si parla della
rifioritura
d’una
convalescente, di una guancia
meno pallente ove
non sia muffito
l’aggettivo, del più
vivido accendersi
dell’occhio, anzi
del guardo.
È questo il solo
fiore che rimane
con qualche merto
d’un tuo Dulcamara.
A te bastano i
piedi sulla bilancia
per misurare i
pochi milligrammi
che i già defunti
turni stagionali
non seppero
sottrarti. Poi potrai
rimettere le ali
non più nubecola
celeste ma
terrestre e non è detto
che il cielo se ne
accorga. Basta che uno
stupisca che il tuo
fiore si rincarna
a meraviglia. Non è
di tutti i giorni
in questi nivei
défilés di morte.
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