L'incanto smarrito
di Giuseppe Bagni
Non scrivo volentieri del "piano per la
scuola" di cui sono uscite alcune notizie sui giornali: ne sappiamo troppo
poco.
Dico solo che si prosegue con la logica delle
anticipazioni parziali e aperte a diverse interpretazioni che stimolano le
reazioni confuse e di pancia dei soggetti interessati. Che diventano sempre
meno soggetti, sempre più massa indistinta dove i ruoli specifici
non contano più nulla (tutti scrivono di tutto). Con il comune denominatore di essere
un pubblico che fischia o applaude di fronte a uno spettacolo che comunque si
svolge altrove.
Restando su questa strada si rinuncia a stimolare partecipazione e a costruire consenso su posizioni che siano un avanzamento rispetto a quelle portate da ciascuno. Dispiace, perché abbiamo un esagerato bisogno di buona politica, quella che si pone l'obiettivo di far crescere il pensiero del Paese. Della pessima, che cerca di scoprirlo per trarne consenso, ne abbiamo avuta abbastanza.
Preferisco, per così dire, "riflettere sulle nostre riflessioni" cercando di capire cosa c'è dietro i tanti insegnanti che non rispondono un no secco al “raddoppio” dell'orario di lavoro, ma accettano il confronto e sono disponibili a ragionarci sopra.
Non sono pochi, e sono insegnanti consapevoli del valore del proprio lavoro. Ne troviamo tracciaanche nei commenti che pubblichiamo in questo spazio della rivista, molto ricchi e stimolanti.
Cosa li spinge? Faccio alcune ipotesi: il senso di responsabilità rispetto alla situazione di crisi del Paese; la convinzione che questa sia la strada giusta per risolvere i problemi reali della scuola; il miraggio di uno stipendio finalmente europeo.
Nessuna delle tre motivazioni mi convince.
Restando su questa strada si rinuncia a stimolare partecipazione e a costruire consenso su posizioni che siano un avanzamento rispetto a quelle portate da ciascuno. Dispiace, perché abbiamo un esagerato bisogno di buona politica, quella che si pone l'obiettivo di far crescere il pensiero del Paese. Della pessima, che cerca di scoprirlo per trarne consenso, ne abbiamo avuta abbastanza.
Preferisco, per così dire, "riflettere sulle nostre riflessioni" cercando di capire cosa c'è dietro i tanti insegnanti che non rispondono un no secco al “raddoppio” dell'orario di lavoro, ma accettano il confronto e sono disponibili a ragionarci sopra.
Non sono pochi, e sono insegnanti consapevoli del valore del proprio lavoro. Ne troviamo tracciaanche nei commenti che pubblichiamo in questo spazio della rivista, molto ricchi e stimolanti.
Cosa li spinge? Faccio alcune ipotesi: il senso di responsabilità rispetto alla situazione di crisi del Paese; la convinzione che questa sia la strada giusta per risolvere i problemi reali della scuola; il miraggio di uno stipendio finalmente europeo.
Nessuna delle tre motivazioni mi convince.
Gli insegnanti consapevoli sanno di lavorare alle prese
con una carenza di risorse di cui non si vede fine e di far comunque funzionare
la scuola (una delle poche istituzioni ritenute ancora degne di fiducia) grazie
al proprio impegno. Il senso di responsabilità lo dimostrano tutti i giorni.
Che sia la strada giusta per migliorare la qualità
della scuola non ci può credere nessuno che capisca di scuola. I problemi sono
sul tappeto da anni, ben documentati dalle rilevazioni europee e dall'Invalsi:
un livello di dispersione che non si riesce a intaccare; differenze abissali da
regione a regione come se la nostra penisola fosse in realtà un arcipelago che
comprende la Finlandia e il Qatar; scelte di scuola che chiudono gli orizzonti,
con differenze di profitto "tra" le scuole diventate più grandi di
quelle tra gli alunni "nella" stessa scuola!. Come dire che invece di
"rimuovere gli ostacoli" alla realizzazione individuale, il contesto
scuola ne produce di nuovi.
Di fronte a questa situazione gli insegnanti sanno che
ci vogliono ben altri interventi prima di parlare di orari e di aperture
serali. Perché una scuola può essere "aperta al pubblico" fino alle
22 senza per questo svolgere bene la sua funzione "pubblica",
istituzionale, che è altra cosa. Non ci serve una scuola che prosegua al pomeriggio,
nei corsi di recupero, il pessimo lavoro iniziato al mattino.
Nemmeno la prospettiva di uno stipendio europeo spiega
da sola la disponibilità a discutere del proprio orario di lavoro.
Altrimenti resta impossibile capire cosa abbia spinto fino a oggi tanti ottimi
insegnanti (non tutti ma tanti) a far bene il proprio lavoro pur in cambio
degli stipendi attuali.
Io dico che le ragioni sono più profonde e fanno
capo al disincanto. La fine
dell'illusione di questi insegnanti di modificare in tutto o almeno in parte l'immagine
stereotipata del loro lavoro che viene fatta propria dalla politica ("gli
insegnanti in Italia lavorano meno.").
Se per l'opinione pubblica restiamo quelli che godono
del privilegio del posto fisso, delle 18 ore di lavoro settimanali e dei tre mesi
di ferie l'anno, allora l'unica possibilità è cambiare tutto. Una posizione
forte, ma anche facile da assumere da parte di chi sa di lavorare già ben oltre
36 ore settimanali. Pur di distruggere lo stereotipo dominante sugli insegnanti
si diventa disponibili a mettere tutto in mostra, facendo tutto a scuola, sotto
gli occhi attenti del dirigente. In fondo non è il massimo dei piaceri usare le
domeniche e i dopo cena per correggere i compiti.
Temo fortemente il disincanto degli insegnanti
consapevoli perché porta paradossalmente a conclusioni condivise anche da una
fetta di insegnanti che l'incanto dell'insegnare non l'hanno mai conosciuto.
Quelli che si limitano all'orario obbligatorio, che quando escono da scuola
chiudono con la scuola, disponibili a starci un'ora in più solo se monetizzata.
A loro le 36 ore andranno benissimo se pagate, e faranno la coda fuori della
presidenza per offrire i loro servigi. Poi saranno ancora in coda, con il badge
in mano per strisciare per primi l'uscita, ben prima della trentaseiesima ora.
Ci sono in tutte le categorie anche se non rappresentano la categoria.
Ma temo il disincanto soprattutto perché non fa
loro vedere come dietro la razionalità della proposta vi sia l'obiettivo di
confinare in uno spazio e in tempo ben definiti e "visibili" il
lavoro degli insegnanti. Una scelta che l'incanto dell'insegnare rischia di
seppellirlo per sempre.
Cosa dovremmo fare allora? Faccio alcune proposte.
imponendo la discussione, prima che sugli orari dei
professori, sul loro profilo professionale. Perché ciò che fanno a scuola è più
importante di quanto ci stanno.
Chiedere che la politica si (e ci) interroghi su quale
sia oggi l'insegnamento più efficace con questi nuovi adolescenti e si impegni
a dar forma (prima che riforma) alla scuola che vogliamo.
Ma soprattutto deve essere salvaguardato l'equilibrio tra ciò che dell'insegnamento può essere illuminato senza che questo lo snaturi, e ciò che deve essere riconosciuto, ricostruito, valutato, ma lasciandolo in quella zona d'ombra che accompagna sempre l'atto stesso dell'illuminare.
Ma soprattutto deve essere salvaguardato l'equilibrio tra ciò che dell'insegnamento può essere illuminato senza che questo lo snaturi, e ciò che deve essere riconosciuto, ricostruito, valutato, ma lasciandolo in quella zona d'ombra che accompagna sempre l'atto stesso dell'illuminare.
Don Milani diceva che il maestro è l'unico
adulto che non ha interessi culturali quando è solo. Come dire che anche quando
è solo non lo è mai del tutto, nel senso che tutto quello che fa, scopre e
impara, è pensato per essere trasferito ai suoi alunni. Ovunque sia e in
qualunque momento, pensa da maestro.
Un'assenza di confini di questa portata può spaventare, ma dobbiamo proteggerla con tutte le forze. Perché è lì che si nasconde il segreto dell'incanto.
Un'assenza di confini di questa portata può spaventare, ma dobbiamo proteggerla con tutte le forze. Perché è lì che si nasconde il segreto dell'incanto.
Provo a commentare
Mi sembra così interessante leggere materiale frutto di profonda e sentita riflessione che potrebbe sfuggirci, condivido pienamente le considerazioni di Giuseppe così ben articolate in particolare le sue conclusioni, urge che i nostri politici attivino tavoli di discussione non per parlare del quanto e del cosa rispetto alla scuola ma del come e del perché, "ciò che fanno a scuola è più importante di quanto ci stanno", quanta verità in queste semplici parole. Credo che anche i tempi vadano rivisti insieme alle modalità, ma in una visione illuminata d'insieme, non in un'ottica segmentata di apparente efficientismo.
L'incanto appare indispensabile, più di qualunque valore assoluto ma è un aspetto personale e privato di vivere la scuola che molti docenti sperimentano con competenza, fantasia e disponibilità perché fa parte del loro essere "maestri", il problema vero sta nel non disperdere questa preziosità ma anche e soprattutto nella capacità di costruire contaminazione efficace. Pensare da maestro fa parte della professionalità che va costruita con cura ed attenzione come in ogni mestiere e non lasciata alla casualità od occasionalità o ancora solo al personalismo; il ruolo del docente nella sua specifica funzione dovrebbe apparire come una valorosa conquista, ma per promuovere questo dall'alto urge un'idea di fondo di ciò che oggi deve essere e rappresentare la nostra scuola ed il lavoro di tutti che dovrebbe necessariamente essere volto a fecondare quel carcere troppo spesso triste, quelle aule troppo spesso malinconiche .
Mi sembra così interessante leggere materiale frutto di profonda e sentita riflessione che potrebbe sfuggirci, condivido pienamente le considerazioni di Giuseppe così ben articolate in particolare le sue conclusioni, urge che i nostri politici attivino tavoli di discussione non per parlare del quanto e del cosa rispetto alla scuola ma del come e del perché, "ciò che fanno a scuola è più importante di quanto ci stanno", quanta verità in queste semplici parole. Credo che anche i tempi vadano rivisti insieme alle modalità, ma in una visione illuminata d'insieme, non in un'ottica segmentata di apparente efficientismo.
L'incanto appare indispensabile, più di qualunque valore assoluto ma è un aspetto personale e privato di vivere la scuola che molti docenti sperimentano con competenza, fantasia e disponibilità perché fa parte del loro essere "maestri", il problema vero sta nel non disperdere questa preziosità ma anche e soprattutto nella capacità di costruire contaminazione efficace. Pensare da maestro fa parte della professionalità che va costruita con cura ed attenzione come in ogni mestiere e non lasciata alla casualità od occasionalità o ancora solo al personalismo; il ruolo del docente nella sua specifica funzione dovrebbe apparire come una valorosa conquista, ma per promuovere questo dall'alto urge un'idea di fondo di ciò che oggi deve essere e rappresentare la nostra scuola ed il lavoro di tutti che dovrebbe necessariamente essere volto a fecondare quel carcere troppo spesso triste, quelle aule troppo spesso malinconiche .
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