domenica 24 settembre 2017

Una canzone, anzi 2

Vasco  Rossi, Senza parole

Ho guardato dentro una bugia
e ho capito che è una malattia
che alla fine non si può guarire mai
e ho cercato di convincermi
che tu non ce l'hai   
                                     
E ho guardato dentro casa tua
e ho capito che era una follia
avere pensato che fossi soltanto mia
e ho cercato di dimenticare
di non guardare

E ho guardato la televisione
e mi è venuta come l'impressione
che mi stessero rubando il tempo e che tu
che tu mi rubi l'amore
ma poi ho camminato tanto e fuori
c'era un gran rumore
che non ho più pensato a tutte queste cose

E ho guardato dentro un'emozione
e ci ho visto dentro tanto amore
che ho capito perché non si comanda al cuore

E va bene così
senza parole...

E guardando la televisione
mi è venuta come l'impressione
che mi stessero rubando il tempo e che tu
che tu mi rubi l'amore
ma poi ho camminato tanto e fuori
c'era un grande sole
che non ho più pensato a tutte queste cose

E va bene così
senza parole
E va bene così
senza parole (senza parole, senza parole, senza parole)
E va bene così
senza parole (senza parole, senza parole, senza parole)
E va bene così
senza parole (senza parole, senza parole, senza parole)
E va bene così
senza parole  
   
Francesco Guccini, Una canzone
La canzone è una penna e un foglio
così fragili fra queste dita,
è quel che non è, è l'erba voglio
ma può essere complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla

che vola via nell'aria leggera,
una macchia azzurra, una rosa gialla,
un respiro di vento la sera,
una lucciola accesa in un prato,
un sospiro fatto di niente
ma qualche volta se ti ha afferrato
ti rimane per sempre in mente
e la scrive gente quasi normale
ma con l'anima come un bambino
che ogni tanto si mette le ali
e con le parole gioca a rimpiattino.

La canzone è una stella filante
che qualche volta diventa cometa
una meteora di fuoco bruciante
però impalpabile come la seta.
La canzone può aprirti il cuore
con la ragione o col sentimento
fatta di pane, vino, sudore
lunga una vita, lunga un momento.
Si può cantare a voce sguaiata
quando sei in branco, per allegria
o la sussurri appena accennata
se ti circonda la malinconia
e ti ricorda quel canto muto
la donna che ha fatto innamorare
le vite che tu non hai vissuto
e quella che tu vuoi dimenticare.

La canzone è una scatola magica
spesso riempita di cose futili
ma se la intessi d'ironia tragica
ti spazza via i ritornelli inutili;
è un manifesto che puoi riempire
con cose e facce da raccontare
esili vite da rivestire
e storie minime da ripagare
fatta con sette note essenziali
e quattro accordi cuciti in croce
sopra chitarre più che normali
ed una voce che non è voce
ma con carambola lessicale
può essere un prisma di rifrazione
cristallo e pietra filosofale
svettante in aria come un falcone.

Perché può nascere da un male oscuro
che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro,
lì presente e pronta a scappare
e la canzone diventa un sasso
lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso
e a volte sventola come bandiera.
La urli allora un giorno di rabbia
la getti in faccia a chi non ti piace
un grimaldello che apre ogni gabbia
pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo
veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo:
son tutto questo le mie canzoni

                                                                           
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