vorremmo smettere di contare ma i volti non parlano da soli |
Discriminazioni, razzismo e sessismo, miscele velenose ed esplosive che inquinano le nostre comunità, come agire? Cosa Fare? Come fermare questo demone a più teste così feroce e disUmano?
La violenza chiama violenza, a partire dal linguaggio troppo spesso invocato dai nostri politici ormai sovrani senza corona e dignità.
L'8 Marzo da piazza SS Annunziata verso le 18 partirà, dopo momenti di riflessione ed animazione, un corteo per ribadire il diritto all'uguaglianza, alla parità, all'agire umano senza se e senza ma...
Evoluzione/questioni aperte, 8 marzo
e mimosa effimera, servono proposte solide
per trasmettere
modelli corretti ai nostri figli ai nostri studenti ed alle cittadine e
cittadini a partire dal linguaggio utilizzato.
...
Il nostro ordinamento giuridico è stato a lungo
permeato dalla violenza di genere: fino al 1956 era in vita lo jus corrigendi (il potere correttivo del pater
familias che comprendeva anche la forza), e solo nel 1996 lo stupro è stato
inserito tra i reati contro la persona. Nonostante oggi quelle leggi non
esistano più, sopravvive l'immaginario che le alimentava. Per questo inasprire
le pene non basta, è necessario aggiungere azioni sociali e culturali. Nonostante la crescente
sensibilità della gravità del fenomeno, nonostante la mobilitazione di associazioni
femminili, femministe e, di recente, anche maschili per contrastare ogni forma
di violenza di genere anche attraverso una condivisa riflessione critica
sull’immaginario culturale maschile che supporta e talvolta addirittura
giustifica queste violenze, il numero di “donnicidi” in Italia è costante pur
in presenza di una complessiva riduzione degli omicidi [1]. Una “cultura della
violenza" che sopravvive alle diverse (ed evidentemente ancor deboli)
azioni di contrasto e continua ad alimentarsi di luoghi comuni sull’identità
maschile, secondo il modello dell’uomo forte e autoritario, destinato “per
natura” a possedere e a comandare. Ferite, percosse che uccidono, ma che –
quando non uccidono – lasciano nelle vittime della violenza segni indelebili e
più profondi di quelli esteriori. La violenza sulle donne, comunque essa si
manifesti, come violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, costituisce
un crimine che annichilisce, toglie la stima di sé, sottrae ogni certezza,
demolisce l’autostima.
A chi, sull’esempio di certa
stampa superficiale e scandalistica, motiva la violenza maschile sulle donne
indugiando sulla gelosia, il raptus o il “troppo amore”, si può rispondere che «ciò
che arma la mano di una persona violenta è un irrazionale desiderio di possesso
a tutti i costi» all’interno di relazioni tuttora asimmetriche tra i due generi.
Diciamo Basta a “Raptus e Tempesta emotiva” questioni di 2 giorni fa con sentenze da
brivido che
ricordano il tragico PROCESSO PER STUPRO, proiettato oggi a
studenti universitari. 8 marzo tutte e tutti alla manifestazione
E tuttavia è naturale chiedersi: come è
possibile che nel nostro paese sia ancora così radicata una mentalità tanto
arcaica, patriarcale, che rimanda la relazione intima al desiderio di dominio
sul corpo delle donne? Una mentalità che configura il rapporto di coppia
in termini di controllo e non di fiducia e condivisione?
Qui entrano in gioco la storia, i miti, alcune
radicate tradizioni, o meglio il “peso di certe tradizioni”e della nostra storia farcite di valore positivo a ciò che era ed è un evidente disvalore. Alla base
delle percosse, delle lame e delle pallottole c’è un retaggio antico, che
purtroppo perdura anche nell’Italia del 2000 e del 2019: «C’è – osserva Anna Baldry – la
volontà di poter controllare, fin nei minimi dettagli, la vita di un’altra
persona. Di punirla per essersi sottratta» a tale controllo.
Nel
nostro Paese, i precetti religiosi sono stati a lungo piegati a giustificazione
di un ruolo sottomesso delle donne al “capo-famiglia”, prima il padre e poi il
marito; i valori, le tradizioni e persino le leggi che consideravano la
violenza domestica contro donne e minori un “fatto naturale”, normale,
addirittura giustificabile e socialmente accettato sono state dominanti per un
tempo superiore a quanto si possa immaginare, rendendo a lungo opaca, se non
invisibile, la violenza di genere proprio perché essa coincideva con quei
valori.
Il nostro ordinamento giuridico è stato, del
resto, permeato a lungo di violenza, alimentandosi di disvalori considerati “valori insopprimibili” e di
un “immaginario patriarcale”
che ha segnato profondamente la storia e il diritto dell’Europa medievale,
moderna e contemporanea
Basti
pensare che, dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione e, in
particolare dell’art. 29 che proclama la “eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi”:
- solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha deciso
che al marito non spettava nei confronti della moglie e dei figli lo jus corrigendi (art. 571 c.p.), ossia il potere educativo e correttivo del pater familias che
comprendeva anche la coazione fisica;
- solo tra il 1968 e il 1969 la Corte Costituzionale ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 559 del codice penale che
puniva unicamente l’adulterio della moglie;
- solo nel 1975 il nostro ordinamento giuridico ha
sostituito la famiglia strutturata gerarchicamente con un nuovo modello di
famiglia paritaria;
- solo dopo la legge n. 442 del 5 agosto 1981, che ha abrogato la rilevanza penale della
causa d’onore, la commissione di un delitto perpetrato per salvaguardare
l’onore proprio e della propria famiglia (art. 587 c.p.) non sarebbe stato più
sanzionato con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente,
cancellando così il presupposto che l’offesa all’onore arrecata da una condotta
“disonorevole” costituisse una provocazione gravissima tanto da giustificare la
reazione dell’“offeso”;
- e sempre dopo tale legge del 1981 non avrebbe trovato più spazio nel
nostro ordinamento l’istituto del “matrimonio riparatore” (art. 544 c.p.), che prevedeva
l’estinzione del reato di violenza carnale nel caso in cui lo stupratore di una
minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l’onore della famiglia;
- solo nel 1996, dopo circa vent’anni di iter legislativo,
sarebbe stata approvata la legge n. 66 che, nel dettare nuove “Norme sulla
violenza sessuale”, trasferiva questo reato dal Titolo IX (Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume)
del codice penale al Titolo XII (Dei delitti contro la persona).
Ritardi
che sono espressione evidente delle resistenze e della difficoltà di estirpare
nel nostro Paese le radici
delle asimmetrie tra i sessi
e, di conseguenza, della violenza di genere. Oggi quell’immaginario patriarcale non è più presente nelle leggi, nei
codici e nella giurisprudenza, ma ha lasciato segni profondi ed evidentemente
continua a sopravvivere nei comportamenti di molti uomini e donne...
E allora, che fare? A un problema complesso si devono
dare risposte articolate che affrontino la questione secondo un approccio integrato, capace di mettere in campo
strategie e interventi di diversa natura.
Interventi di vario
tipo, non limitati all’inasprimento delle pene a carico dell’autore della
violenza. La repressione è necessaria, ma da sola non basta. Oltretutto, la
punizione – indubbiamente indispensabile, anche per l’effetto deterrente che
può esercitare quando è dotata di efficacia e di effettività – in ogni caso
interviene dopo che la violenza ha avuto luogo e deve essere affiancata da
altre misure che abbiano la capacità di prevenire la violenza o comunque di
snidarla prima che si manifesti in tutta la sua brutalità.
Ben vengano, pertanto, gli interventi legislativi, da quelli di carattere
strettamente penale, intesi soprattutto a rafforzare l’effettività delle
sanzioni, a specifiche “leggi anti-violenza”, di cui quasi tutte le regioni
italiane si sono dotate. Ben venga la normativa anti-stalking, frutto di una nuova sensibilità del
legislatore italiano verso i temi della violenza, e ben vengano i provvedimenti
adottati nel 2013, ovvero la ratifica della Convenzione di Istanbul,
considerata il trattato internazionale di più ampia portata in materia, e la
conversione in legge del decreto n. 93/2013 (L. 15 ottobre 2013, n. 119).
Accanto agli interventi normativi, sia di tipo
punitivo che preventivo, devono però essere adottati anche maggiori strumenti
di intervento sociale (sportelli di ascolto e di denuncia, presidi
anti-violenza nei vari ambiti territoriali, case-rifugio per donne maltrattate,
attivazione di linee telefoniche dedicate, assistenza attraverso personale
specializzato, ma soprattutto istituzionalizzazione dei Centri anti-violenza
esistenti etc.) e poi interventi che
genericamente definirei culturali e formativi diretti sia a “professionalizzare”
le forze di polizia e gli operatori sanitari ed educativi, affinché acquisiscano maggiore sensibilità,
capacità di lettura e riconoscimento del problema, sia a realizzare in tutte le
scuole di ogni ordine e grado progetti per divulgare la cultura di genere, per
combattere gli stereotipi, per educare i giovani al concetto di parità e pari
opportunità. Non attraverso un isolato incontro o una conferenza, ma all’interno
di specifici percorsi formativi destinati a sensibilizzare, sin dalla più
tenera età, alla cultura del rispetto reciproco e della valorizzazione delle
differenze e al contrasto verso qualsiasi forma di discriminazione.
Insomma, un sistema integrato
di interventi
Convegno in
Prefettura su violenza su minori 10 giorni fa ( ignorando questione Forteto?)
Tante iniziative
promosse in questi anni coinvolgendo scuole e associazionismo, 25 eventi e
innumerevoli incontri a livello nazionale, regionale e metropolitano oltre che
locale. oltre a sostegno e sensibilizzazione a Nosotras ed Artemisia che
operano come partner della Società della salute Mugello anche Lunedi ore 14
…oltre
È ovvio che un tale sistema non può essere
realizzato con le poche risorse messe a disposizione dalla recente legge «per
il contrasto della violenza di genere»: non ci vogliono solo idee chiare e
obiettivi condivisi, non bastano gli attuali centri anti-violenza che – pur
nella precarietà in cui sono costretti ad operare – offrono eccellenti servizi
alla comunità, non è sufficiente la rete di associazioni femminili e maschili
mobilitate nel condannare e contrastare la violenza, ma è necessario, anche e
soprattutto, poter contare su un ceto politico e amministrativo convinto che
l’impegno per prevenire e ridurre il costo umano e sociale della violenza di
genere non è una spesa ma è un investimento,
una misura che contribuisce anche al sostegno dell’economia del Paese.
Meno
donne maltrattate in famiglia significa, infatti, più donne serene e produttive
nei luoghi di lavoro e risparmi per servizi giudiziari, cure mediche e servizi
sanitari, sociali e legali. A vantaggio dell’intera comunità, maschile e
femminile.
... mi chiedo cosa ci sia ancora da festeggiare. Veniamo uccise, stuprate, trattate non in modo paritario, ... credo che non ci sia niente da festeggiare.😄
Buona lotta a te e a tutte noi!
Buona lotta a te e a tutte noi!
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