Mi permetto di diffondere questa interessante riflessione di Giuseppe Bagni che condivido pienamente
Anticipo a 5 anni: perplessità e questioni aperte
Ora si potrebbe obiettare che la Scuola dell’Infanzia è una scuola a tutti
gli effetti, che ha un suo curricolo di durata triennale, che risponde alle
esigenze e ai bisogni di una specifica fascia di età (3-6 anni) connotata da un
preciso profilo psicologico. Si potrebbe continuare ricordando alla Ministra
che le ricerche internazionali, anche recentemente, concordano nel confermare
ciò che potrebbe essere facilmente intuito con l’esercizio del semplice buon
senso, ovvero che la frequenza di una scuola dell’infanzia di qualità
rappresenta una variabile determinante ai fini di un percorso formativo
efficace e produttivo e che solo un intervento precoce è in grado di
contrastare l’insorgenza di quei disagi e di quei malesseri che troppo spesso
si risolvono in insuccesso e in abbandono.
Ma dire e ribadire queste cose non solo ci sembra inutile, di fronte alla
portata di certe proposte. Dire e ribadire queste cose significherebbe in un
certo qual modo mettersi sullo stesso piano della Ministra, dimenticando o
disconoscendo i motivi che consentono a Lei e a molti altri di pensare anche
solo plausibile una simile iniziativa. E i motivi vanno ricercati nella
modalità con la quale ci si è occupati della Scuola dell’Infanzia in questi
ultimi anni. Prima c’è stata l’esaltazione: la scuola migliore del mondo, il
modello pedagogico che tutti ci invidiavano, il gioiello di famiglia. Poi ci
sono stati gli attacchi frontali: l’anticipo in ingresso e in uscita, le
sezioni primavera, l’organizzazione del tempo scuola a richiesta delle famiglie
… Infine, il silenzio. Sono anni che nessuno si occupa più di questa scuola,
almeno formalmente, con interventi diretti.
Si è scelta la strada della disattenzione attiva: aumento progressivo ma
costante del numero dei bambini per sezione, inserimento senza regole dei
bambini anticipatari, mancato rispetto di qualunque parametro per l’inserimento
dei bambini diversamente abili, incuranza di spazi e ambienti anche ai soli
fini della sicurezza, assenza di fondi per l’acquisto anche solo del materiale
di facile consumo … Il tutto nel silenzio generale, lasciando che il lavoro
sporco lo facessero dirigenti volenterosi, collegi irresponsabili, genitori
esigenti. Senza clamore, senza decreti, in modo che la confusione creata da
norme contraddittorie e ambigue generasse una prassi non totalmente legittima,
ma sicuramente forte, perché basata sul soddisfacimento di interessi
altrettanto forti (quelli delle famiglie, quelli degli organici, quelli di
ottenere un consenso spendibile in altri settori).
La disattenzione attiva è stata ed è un’arma potentissima che è riuscita,
in nome di esigenze certamente legittime, ma che non dovevano essere scaricate
sulla scuola, a indebolire questo segmento scolastico, a minarne l’identità, a
negarne i capisaldi sui quali stava costruendo i suoi standard di qualità. È
per questo che la Ministra, che pure è Ministra anche della scuola
dell’infanzia, può pensare e dire impunemente che la soluzione sta nel mandare
i figli a scuola un anno prima. Perché nonostante tutta la pedagogia e tutta la
retorica che è stata evocata intorno all’infanzia e alla sua scuola, la scuola,
quella vera, inizia, come dice il nome, dalla scuola primaria. Per questo è
inutile evocare ricerche e studi, pedagogia e psicologia. Forse l’unica difesa
possibile, in tempi di spending review sta nel fare appello a ragioni economiche,
legittime ma di nuovo esterne rispetto ai diritti e ai bisogni dei bambini, che
evidentemente hanno poca presa. E allora dovremmo invitare la Ministra a fare
un po’ di conti e valutare quanto costa in termini economici, in euro, in
termini di risparmio per le casse dello Stato, di abbassamento del debito
pubblico, avere meno bambini e ragazzi per i quali attivare insegnanti di
sostegno, quante ore dei GLIC si potrebbero risparmiare, quanti casi di BES e
DSA potrebbero essere evitati agli ordini scolastici successivi se solo si
mettesse la scuola dell’infanzia nelle condizioni di lavorare davvero con i
bambini e per i bambini. È un’ipotesi che non è ancora venuta in mente a
nessuno.
Roma 30 maggio 2014 Giuseppe Bagni
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