l’UNESCO
nel 1995 ha indicato il 23 aprile
come Giornata Mondiale del Libro perché in questa
giornata si crede/pensa che nel 1616 siano morti William Shakespeare e Miguel
de Cervantes.
Da
allora, il 23 aprile sono molte le iniziative che si svolgono in tutto il mondo al fine di
sostenere, incoraggiare a scoprire il
piacere della lettura.
Ognuno ha una sua passione, quel libro che ha lasciato una traccia indelebile, ha risposto alle aspettative colmando un vuoto, un libro prezioso perché resterà per sempre con noi.
Il libro che non mi stanco mai di rileggere è Novecento di Alessandro Baricco.
Fu mio figlio Matteo, appassionato di lettura, vorace divoratore di testi di generi diversi già a 10 anni, a porgermi quella lettura dicendomi semplicemente: mamma sono certo che ti piacerà.
Aveva ragione.
Racconta la storia del Virginian, il piroscafo
che negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America.
A
bordo le persone più svariate nei diversi livelli della nave da miliardari ad emigranti
e gente comune.
Si
narra che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla
tecnica insuperabile, capace di suonare una musica mai sentita prima, avvolgente
e meravigliosa, unica.
Si
dice che questo genio della musica fosse nato su quella nave e che da lì non
fosse mai sceso senza un motivo conosciuto
L’incipit di questo romanzo è evocativo e struggente, descrive un emigrante che per primo dalla nave vede l’America.
“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la
testa…e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… Ci stavamo in
più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente
strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva.
Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte…
magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo,
buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era,
gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre,
si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e
lentamente): l’America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare
in una fotografia, con la faccia di uno che l’aveva fatta lui, l’America. La
sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato,
muratore, brava persona… prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi… gli
ha preso un po’ la mano, ha fatto l’America…
Il Testo è diventato film: "La Leggenda del Pianista sull'Oceano" di G. Tornatore.
Incantevole visione che mai tradisce lo scrittore.
Tutta quella città...non se ne vedeva la fine.....
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
E il rumore
Su quella maledettissima scaletta...era molto bello, tutto...e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema
Col mio cappello blu
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino ......
Non è quel che vidi che mi fermò
E’ quel che non vidi
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi....lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne
C’era tutto
Ma non c’era una fine. Quel che vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita
Se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio
Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una
A scegliere una donna
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di
morire
Tutto quel mondo
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce
E quanto ce n’è
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla...
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
E il rumore
Su quella maledettissima scaletta...era molto bello, tutto...e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema
Col mio cappello blu
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino ......
Non è quel che vidi che mi fermò
E’ quel che non vidi
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi....lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne
C’era tutto
Ma non c’era una fine. Quel che vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita
Se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio
Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una
A scegliere una donna
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di
morire
Tutto quel mondo
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce
E quanto ce n’è
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla...
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. E’ un viaggio troppo lungo. E’ una donna troppo bella. E’ un profumo troppo forte. E’ una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò.
Lasciatemi tornare indietro.
....Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio. Non sono pazzo fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci.
Da leggere e rileggere cogliendo la gioia di ogni singola parola, di ogni frase memorabile
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